Cos’è la balbuzie
È un disturbo della fluenza con esordio nell’infanzia.
Il più diffuso disturbo di sviluppo della fluenza verbale è la balbuzie evolutiva, a esordio prevalente nella prima infanzia.
Più rare, e fanno la loro prima comparsa in età adulta, la balbuzie neurogena, che consegue ad alterazioni cerebrali e la balbuzie psicogena, secondaria ad alterazioni psichiche.
Nel DSM-V (classificazione dei disturbi nervosi e mentali) -APA 2013 la balbuzie, disturbo della fluenza a esordio nell’infanzia, è inserita nel capitolo dei Disturbi del neurosviluppo e dei Disturbi della comunicazione, ed è caratterizzata da:
- Anomalie del normale fluire e della cadenza dell’eloquio che sono inadeguate per l’età e le abilità linguistiche del soggetto, che persistono nel tempo (….)
- Il disturbo causa ansia per le situazioni comunicative o limitazioni nella comunicazione effettiva, nella partecipazione sociale e nella prestazione scolastica o lavorativa, singolarmente o in qualsiasi combinazione
- I sintomi esordiscono in un periodo precoce dello sviluppo
- Il disturbo non è attribuibile a un deficit motorio della parola o sensoriale, alle disfluenze conseguenti a un danno neurologico o un’altra condizione medica e non è meglio giustificato da un altro disordine mentale.
Quando insorge la balbuzie nei bambini?
Tra i 2 e i 6 anni di età (età media di 33 mesi) il 2,6-3% dei bambini, maschi o femmine, comincia a mostrare segni di disfluenza.
Ma nella grande maggioranza dei casi (80-85%) e, prevalentemente nelle bambine, il disturbo regredisce spontaneamente entro uno-due anni dall’esordio.
E se il disturbo non regredisce entro uno/due anni dall’esordio?
In epoca scolare, più marcatamente nell’adolescenza e poi nell’età adulta, le disfluenze diventano più numerose, più frequenti, più evidenti. Fanno la loro comparsa i segni visibili ma, soprattutto, si sviluppa un mondo sotterraneo di emozioni, sentimenti, comportamenti, a volte noti, a volte misconosciuti al malato stesso: i sintomi coperti della balbuzie.
Si tratta di emozioni, sentimenti e comportamenti negativi conseguenza del modo assolutamente unico e personale con cui un malato di balbuzie affronta le sue difficoltà.
É raro che ne venga a capo positivamente utilizzando esclusivamente le proprie risorse, cognitive ed emotive.
Il più delle volte il suo modo di affrontare il problema è quello di
- fuggire,
- evitare la conversazione,
- non impegnarsi in attività che richiedano l’uso della parola;
- temere gli estranei e il loro giudizio,
- ritenere di non poter andare avanti nello studio o nel lavoro, ma anche nelle amicizie e nelle relazioni a causa del proprio disturbo.
Parlare è estremamente importante nella vita e non riuscirci vuol dire -secondo la personale opinione delle persone che balbettano- non valere, non essere all’altezza.
Ecco allora la scarsa stima di sé che molti balbuzienti sviluppano.
E poiché temono di balbettare, anzi in molti casi prevedono di farlo su parole che ritengono impegnative e difficili, ecco mettere in atto tutta un’altra serie di comportamenti motori con la bocca, le labbra, la lingua, nel tentativo di parlare meglio.
Questi tentativi, invece, aumentando la tensione fisica, la rigidità muscolare degli organi deputati all’articolazione delle parole, si traducono in un peggioramento dei sintomi: la parola viene fuori con grande sforzo o molto frammentata; è la profezia che si auto-avvera.
Una considerazione possibile è che un balbuziente impara a balbettare e che la sua balbuzie è almeno in parte appresa.
Appresi possono essere, ad esempio:
- i blocchi sulla sillaba iniziale
- le emozioni e i sentimenti negativi che nell’adolescenza e nell’età adulta possono arrivare a veri e propri disturbi di personalità.
Il balbuziente, cioè, costruisce la propria balbuzie che, nel tempo, si afferma come un vero e proprio disturbo sociale.
Cosa fare quando un bambino inizia a balbettare?
- Osservare,
- Annotare,
- Resistere alla tentazione di “aiutare” il bambino in qualche modo (parla piano, respira, non ti agitare, ripeti con me etc.),
- Raccogliere o videoregistrare se possibile campioni di linguaggio in diverse situazioni sociali:
- casa,
- con i nonni,
- a scuola,
- con una persona estranea,
- Parlare con uno specialista (logopedista, foniatra, psicologo, neuropsichiatra infantile) che aiuterà a percorrere la strada più idonea per affrontare e risolvere il problema.
Avendo a mente i fattori di rischio e quelli predittivi di recupero spontaneo, se il disturbo persiste e non si attenua dopo uno/due mesi dall’esordio non è conveniente attendere per vedere come potrebbe andare.